La frustrazione dello scoiattolo e le reazioni umane

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 21 maggio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE/DISCUSSIONE]

 

Chi ha concepito la professione di psichiatra come una straordinaria opportunità di aiuto e sostegno umano oltre che di conoscenza dell’unità cervello-organismo in condizioni patologiche, non può fare a meno di riferirsi all’esperienza soggettiva dei pazienti che ha incontrato e al proprio vissuto per cercare di comprendere cosa accada nella nostra mente quando la realtà ci impone una delusione o qualsiasi altro genere di frustrazione.

Nella generazione che ci ha preceduto, coloro che si sono battuti, forse a torto, perché la psichiatria fosse considerata una scienza umana e non solo una branca della medicina clinica, ci hanno lasciato una quantità di tracce scritte che testimoniano dell’intrinseco valore umano, oltre che professionale, della condivisione del disagio psichico, della difficoltà esistenziale e della sofferenza. Questa prospettiva, presente nella formazione di chi scrive, ha condizionato a lungo una presa di distanza da due opposti poli: quello degli psicologi che nell’iter di formazione italiano non incontravano mai persone reali da conoscere e studiare, ma solo libri e docenti; e quella dei colleghi che avevano scelto la mediazione esclusiva della terapia farmacologica nel rapporto con i pazienti e, per tale ragione, erano attenti studiosi della sperimentazione animale dei farmaci.

Le cose sono cambiate, ma quella eredità di “anime belle” pesa ancora, se non sulla coscienza, sulle tendenze inconsapevoli di molti, che tendono a rifugire lo studio del comportamento animale finalizzato alla comprensione delle basi biologiche di quello umano, quasi fosse una mancanza di rispetto verso i propri pazienti o una inutile digressione dal compito di sviluppare una scienza umana dalle esperienze di incontro e dai tentativi di cura delle persone venute all’attenzione professionale.

 

La tentazione etologica. Forse, proprio per la responsabilità che sentivo e il rigore con il quale ho concepito la psichiatria, ho avvertito un bisogno di evasione, che si è spesso tradotto in una immersione nella natura non condizionata dagli aspetti deleteri dell’agire umano e, in particolare, nello studio del comportamento animale negli ambienti naturali, come voleva la scuola etologica europea fondata da Konrad Lorenz e Nicolaas Tinbergen.

Non sono pochi coloro che credono che l’etologia sia nata con lo studio dell’imprinting, immortalato nella fotografia di Lorenz seguito dagli anatroccoli che, avendolo conosciuto nel periodo sensibile per quell’apprendimento, lo riconoscevano come madre. Invece, lo studio comparato del comportamento animale basato sul riconoscimento di moduli specie-specifici, dei quali si analizzava la funzione, la causa, l’ontogenesi e la filogenesi, ha fornito fin dall’inizio del Novecento preziosi materiali, principi e nozioni alla neurofisiologia[1]. In realtà, una parte non trascurabile del bagaglio di conoscenze sul funzionamento del sistema nervoso acquisito con l’iter formativo medico delle stesse “anime belle” della psichiatria, aveva attinto alla conoscenza etologica. Anche se molte fra le nozioni più direttamente connesse alla clinica, intesa come propedeutica neurologica, provenivano da crudi e criticabili esperimenti lesionali, quali l’animale spinale, l’animale mesencefalico, le lesioni ipotalamiche che rivelavano i nuclei preposti al controllo di fame e sazietà, e così via, tante altre provenivano dall’osservazione etologica, come i fixed action patterns (FAP), le cure parentali, il comportamento sessuale, il comportamento aggressivo, il territorialismo, il rapporto predatore-preda, eccetera. Negli animali è più facile studiare il cosiddetto comportamento istintivo, cioè attività non influenzate dall’apprendimento di esperienze precedenti o dalla trasmissione culturale precoce, come accade in ambito umano, e si suppone geneticamente determinato e caratteristico della specie.

Lo studio del comportamento istintivo ha costituito un’esperienza culturale di base per la moderna neurofisiologia, perché ha fornito dei paradigmi elementari del funzionamento nervoso conservati nella filogenesi e, pertanto, indicativi di proprietà biologiche intrinseche degli organismi viventi, quale prodotto della selezione naturale.

 

La frustrazione degli scoiattoli in condizioni di vita naturale: un nuovo studio. Tanto premesso, ritengo che non si debba rinunciare a questa straordinaria esperienza conoscitiva solo perché si rischia di essere sospettati di riduzionismo, di determinismo o di una superficialità strumentale all’impiego dell’ipersemplificazione farmacologica dei complessi problemi sintomatologici che ci presenta la realtà della psicopatologia umana. In proposito, Giuseppe Perrella si esprimeva così: “…Il segreto sta nel saper leggere il comportamento animale, nel non pretendere troppo, nel non tendere ad umanizzare ad ogni costo creature con una propria identità biologica o, all’opposto, semplificare la nostra specie e ridurla agli schemi neurofunzionali dei nostri ipotetici progenitori ancestrali, ma disporsi con mente aperta a riconoscere le probabili tracce sulla via di un’evoluzione raramente lineare e mai banale”[2]. E, sempre seguendo Giuseppe Perrella, si può così riassumere la questione dello studio comparato: “È un problema di distanza, di metodo e di uso del sapere”[3].

All’inizio di questa discussione ho fatto riferimento al modo che mi è spontaneo e congeniale per cercare di comprendere cosa accada nella mente quando un’aspettativa è delusa o si sperimenta la frustrazione per il venir meno di una gratificazione. Ora, presa l’opportuna distanza dalla realtà umana, seguendo la prudenza della sospensione meditata del giudizio, così da non rischiare di scambiare una suggestiva analogia per una assoluta identità, seguiamo quanto è stato studiato nello scoiattolo alle prese con simili circostanze frustranti, da Delgado e Jacobs.

(Delgado M. M. & Jacobs L. F., Inaccessibility of Reinforcement Increases Persistence and Signaling Behavior in the Fox Squirrel (Sciurus niger). Journal of Comparative Psychology – Epub ahead of print, Apr 14, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: University of California at Berkeley, Berkeley, CA (USA).

Lo Scoiattolo volpe o Sciurus niger, secondo la classificazione binomiale risalente a Linneo (1758), è un piccolo mammifero che appartiene all’ordine dei Roditori e costituisce una specie molto nota, perché le sue caratteristiche morfologiche ne hanno fatto un prototipo iconografico del suo genere, riprodotto fotograficamente, in disegni animati, fumetti e pupazzetti. Come in precedenti studi condotti dagli stessi autori, questo grazioso ed intelligente animale è stato protagonista di esperimenti che hanno fornito indicazioni di assoluto interesse.

Negli ambienti ecologici di appartenenza, gli animali che vivono allo stato naturale non di rado sperimentano situazioni in cui azioni precedentemente seguite da “ricompensa” – intesa nel senso di elemento in grado di attivare il sistema neuronico dell’area tegmentale ventrale (VTA) generando un effetto positivo sulla fisiologia cerebrale e una facilitazione per una eventuale ripetizione – non determinano “rinforzo”[4]. Nelle tipiche condizioni di laboratorio, una inattesa mancanza di rinforzo induce risposte emotive e comportamentali descritte nel loro insieme col termine frustrazione. Ricordiamo, in proposito, che il vocabolo è proprio del gergo psicodinamico e, nella realtà umana, si riferisce a circostanze in cui la mancata soddisfazione di un bisogno o di un desiderio causa una piccola sofferenza psichica alla quale fa seguito una tendenza reattiva in due fasi[5]: aggressione, regressione. La frustrazione, nell’esperienza di laboratorio con animali, può portare a comportamento aggressivo e alla persistenza di risposte non efficaci, ma talvolta può condurre a nuove risposte comportamentali a un problema, ossia all’espressione di un nuovo adattamento.

La coppia di ricercatori di Berkeley ha valutato le risposte alla condizione di inaccessibilità del rinforzo in esemplari di Scoiattolo volpe, nel tipico stato di libertà di movimento in ambiente naturale in cui si effettua l’osservazione etologica. I roditori sono stati addestrati ad aprire una scatola per ottenere un rinforzo in forma di cibo, ossia una parte di una noce. Dopo 9 sessioni di esercizio, gli scoiattoli sono stati valutati in ciascuna di 4 diverse condizioni:

     1) una condizione fungente da controllo per le altre, con la ricompensa attesa;

     2) una condizione con un rinforzo alternativo, costituito da un frammento di grano secco;

     3) una condizione con una scatola vuota;

     4) una condizione con una scatola chiusa.

Delgado e la Jacobs hanno rilevato (e misurato) la presenza di segnali suggerenti eccitazione emotiva (arousal), quali l’oscillazione o la contorsione della coda. Tali manifestazioni comportamentali erano ridotte al minimo nelle condizioni di controllo, mentre si accrescevano notevolmente nelle altre circostanze sperimentali, e a queste si aggiungevano, nel quarto tipo di setting, cioè quello con la scatola chiusa, bloccata, comportamenti come il mordere la scatola. Quando sperimentavano l’assenza di rinforzo – ossia la frustrazione – gli scoiattoli accrescevano notevolmente il numero di interazioni con l’apparato per la sperimentazione e trascorrevano un tempo decisamente più lungo ad interagire con la scena dell’esperienza negativa.

Gli elementi emersi da questa sperimentazione, condotta con animali liberi di muoversi come in condizioni naturali, confermano ed estendono i risultati degli studi sulle risposte alla frustrazione condotti su animali in cattività, e dimostrano che gli Scoiattoli volpe presentano risposte di valenza negativa ma di breve durata a ciascuna delle circostanze frustranti, ossia all’inaccessibilità, all’omissione e al cambiamento di rinforzo.

 

L’autrice della nota ringrazia la professoressa Monica Lanfredini per la revisione del testo e invita alla lettura degli articoli di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-21 maggio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] In termini accademici l’etologia è considerata un luogo di incontro di discipline scientifiche - quali zoologia, fisiologia ed ecologia - con metodi, contenuti e prassi delle scienze psicologiche e sociali. Tra gli anni Trenta e Quaranta l’etologia si occupava principalmente del comportamento istintivo, analizzandone gli stimoli evocatori e il significato adattativo ed evolutivo. Nei decenni successivi ha cominciato ad esaminare l’apprendimento precoce nelle varie specie, i meccanismi di comunicazione tra animali, la trasmissione di apprendimenti fra generazioni (“cultura animale”), ecc.

[2] G. Perrella, “Riflessioni su logiche correnti ed uso di nozioni e concetti originati del sapere sperimentale ed impiegati in costruzioni teoriche sviluppate in ambiti ascrivibili alle neuroscienze” (Relazione per un gruppo strutturale di BM&L su “Nuovo sapere neuroscientifico e vecchi steccati disciplinari”), p. 12 (§ Etologia e psichiatria non comportamentistica.), BM&L, Firenze 2003.

[3] G. Perrella, op. cit., ibidem.

[4] Inteso nel senso di ricompensa che predispone alla ripetizione dell’esperienza.

[5] Si insegnava, nella semeiotica psicoanalitica, la triade: frustrazione-aggressione-regressione.